Maria Giulia Alemanno: Famiglia sul tronco al tramonto
matite colorate su carta
1959
E' da questo disegnino ingenuo che parte il mio
sentiero di pittrice. Benchè privo di alcun valore artistico, gli ho sempre
attribuito un significato profondo. Ed è quel che conta.
L'ho ritrovato in un cassetto, piccolo ed ingiallito dagli anni. Tanti. Troppi. Ma ricordo perfettamente quando lo realizzai sul tavolo della cucina a Crescentino, con i miei pastelli distribuiti a pioggia come bastoncini di shanghai - già allora disordinata - ed il pensiero fisso ad un disegno che avevo tante volte osservato su una parete del vecchio asilo di via Bolongara.
Era opera di suor Giovannina, una monaca bellissima, avviluppata in un penalizzante abito nero, il volto incorniciato da un cappuccio bianco, che io sempre immaginavo come una rondine pronta a prendere il volo. Suor Giovannina disegnava canticchiando, quasi a voler trasmettere a noi bambini la gioia della creatività e la magia dei colori. Anche quel giorno aveva fissato con due puntine il foglio su un'asta di legno, un gesto che le era abituale, ma più di ogni altra volta l'immagine mi aveva catturata.
L'ho ritrovato in un cassetto, piccolo ed ingiallito dagli anni. Tanti. Troppi. Ma ricordo perfettamente quando lo realizzai sul tavolo della cucina a Crescentino, con i miei pastelli distribuiti a pioggia come bastoncini di shanghai - già allora disordinata - ed il pensiero fisso ad un disegno che avevo tante volte osservato su una parete del vecchio asilo di via Bolongara.
Era opera di suor Giovannina, una monaca bellissima, avviluppata in un penalizzante abito nero, il volto incorniciato da un cappuccio bianco, che io sempre immaginavo come una rondine pronta a prendere il volo. Suor Giovannina disegnava canticchiando, quasi a voler trasmettere a noi bambini la gioia della creatività e la magia dei colori. Anche quel giorno aveva fissato con due puntine il foglio su un'asta di legno, un gesto che le era abituale, ma più di ogni altra volta l'immagine mi aveva catturata.
Lo schema era minimale: una famiglia di poveri
contadini seduta su un grande tronco, la madre, il padre e tre bimbi, tutti
insieme a guardare un tramonto aranciato e lontano. Il paesaggio appariva
scollegato da loro ed evanescente, quasi stesse emergendo da un
sogno. L'aria era calma e le vele sul lago scivolavano senza far rumore
mentre il sole scendeva su un paese dai tetti rossi come lo scafo delle barche,
un rosso destinato a rimaner acceso anche in piena notte.
Quella scena, che forse anche suor Giovannina aveva copiato da qualche illustrazione per bambini, mi era rimasta impressa con marchio indelebile, forse per la pace ed il sentimento di unità che trasmetteva, forse solo perchè, già allora, i tramonti avevano su di me un effetto ipnotico, irresistibile e totale. Il tentare di ridisegnarla a memoria quando già frequentavo le elementari, significò rivivere quelle sensazioni ed insieme rafforzarle, quasi già delineassero il senso della mia ricerca e del mio percorso.
Quella scena, che forse anche suor Giovannina aveva copiato da qualche illustrazione per bambini, mi era rimasta impressa con marchio indelebile, forse per la pace ed il sentimento di unità che trasmetteva, forse solo perchè, già allora, i tramonti avevano su di me un effetto ipnotico, irresistibile e totale. Il tentare di ridisegnarla a memoria quando già frequentavo le elementari, significò rivivere quelle sensazioni ed insieme rafforzarle, quasi già delineassero il senso della mia ricerca e del mio percorso.
Quando dopo tanti anni incontrai Francesco Tabusso ed ebbi la fortuna ed il
privilegio di diventare la sua collaboratrice, quel piccolo disegno assunse un
peso ancor più grande. Senza conoscerci io e Francesco avevamo percepito
allo stesso modo la bellezza e la poesia della natura, allo stesso modo ci
eravamo emozionati. Diventava dunque naturale lavorare insieme. Come naturale
divenne un giorno guardare nuovi orizzonti e nuovi tramonti, ognuno
seduto sul proprio tronco, seppur con emozioni condivise.
*
Era il 31 marzo 2012 quando pubblicavo questo mio foglietto infantile. Mai allora avrei immaginato che improbabili individui chiamati "hackers" avrebbero rosicchiato come termiti voraci la polpa del tronco su cui sedevano i miei contadini gentili. E non solo. Avrebbero distrutto senza pietà l'intero paesino affacciato sul lago, cancellato il tramonto, ucciso il padre, la madre e i tre bambini. Gentaglia. Mercenari della rete. Fantasmi crudeli.
Per fortuna ne avevo conservato una copia, cosa che ahimè riguarda una minima parte di tutto il materiale che ho pubblicato in due anni. Non che si tratti di uno scritto e di un'opera importanti. Tutt'altro. Ma il loro valore affettivo è grande, appartengono a miei momenti sognanti e nessuno ha il diritto di rubare i miei sogni.
E dunque, pregiatissimi hackers, io qui li ripropongo con un consiglio. Evitate di far indigestione di poesia. Per gente come voi è cibo più velenoso dell'ammanite muscaria. Un solo assaggio è senza scampo mortale.
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