… e così il 4 luglio in tanti si sono ritrovati in Piazza Betlemme a San Giovanni in Persiceto per ricordare Gino Pellegrini,
scenografo, artista raffinato, persona umile ed umanissima che dallo
scorso dicembre inventa nuove prospettive in un’altra dimensione.
Quello spazio in origine anonimo
che lui, armato di rulli e pennellesse aveva più volte trasformato in
una straordinaria opera d’arte da vivere nel quotidiano, è diventato la
scenografia di GINO & FRIENDS, una serata condotta dagli amici di una vita, Patrizio Roversi e Susy Blady, Eros Drusiani, Luciano Manzalini, Ivano Marescotti, Tita Ruggeri e Vito, il magico Vito, surreale e stralunato protagonista di tanti suoi dipinti.
Piazza Betlemme: ingresso vegetale
Il ricordo di questo artista meraviglioso continua fino al 31 luglio nella chiesa di Sant’Apollinare con la mostra fotografica GINO VISTO DA LUCIANO BOVINA (venerdì, sabato e domenica ore 19.00- 22.00), inaugurata in occasione
della Gran Serata di Piazza Betlemme. E’ la storia per immagini di
un’amicizia fraterna che Luciano ha raccontato seguendo Gino in molti
momenti del suo gigantesco lavoro.
Luciano Bovina: ritratto di Gino Pellegrini
C’ero
anch’io con loro a L’Avana nel gennaio del 2010 quando, nella cornice
coloniale della Plaza Vieja, ebbi la gioia ed il privilegio di
realizzare insieme a Gino “Entre tierra y cielo – Canto Pictórico a los Orishas”, una performance popolare vissuta in sintonia con danzatori e musicanti. Luciano, assemblando le proprie immagini e quelle di Ivan Dell’Igna, la sintetizzò in un video, ora proiettato in mostra.
Anche a Cuba Gino, giocò con
colori e pennelli per trasformare una delle piazze più belle dell’isola
in uno spazio cinematografico. Fu solo per un giorno ma ancora se ne
parla a La Habana Vieja dove, nel patio del Museo Casa de África, rimane
l’ombra di un pavone solitario che il nostro prezioso amico
dipinse in un pomeriggio di sole.
A Maurizio Garuti,
autore del testo del catalogo della mostra, rubo, perché bellissimo ed
illuminante, il racconto delle varie trasformazioni di Piazza Betlemme,
dove Gino, in compagnia del suo bestiario fantastico, tra mattoni veri
ed inventato, crediamo continui a vivere.
Uno scorcio di Piazza Betlemme
Gino Pellegrini a Piazza Betlemme
È
una storia che dura da 33 anni. Tanti ne sono trascorsi da quel lontano
1982 quando Gino Pellegrini reinventò uno spazio urbano minore, un
ritaglio rettangolare fra vecchie casette operaie. Molti ricordano
com’era piazza Betlemme: tre o quattro abitazioni, un fienile, una sede
stenta di partito, poco altro. Muri scrostati, qualche crepa,
un’atmosfera dimessa. Non sembrava neanche una piazza, ma piuttosto uno
slargo fra le case. Lontani i tempi in cui torme di bambini scorrazzanti
avevano qui la loro via Paal. Gravitava qui intorno la banda di ragazzi
più agguerrita di Persiceto, dato che le sue schiere erano alimentate
da una prolificità quasi da terzo mondo. Non per nulla piazza Betlemme
era il cuore del Tigrai: il rione più povero del paese, un nome etiopico
probabilmente appioppato per scherno da chi stava in quartieri più
benestanti, al tempo della guerra d’Africa. Un nome che evocava
vagamente animali feroci come le tigri e paesaggi esotici, selvatici. Le
premesse, nascoste, in germe, c’erano tutte per un carnevale pittorico
capace di rovesciare in gloria le miserie sociali e storiche di cui
erano testimoni quelle case. E qui comincia l’impresa di Gino
Pellegrini.
Vicentino d’origine, tornato da poco da una mirabolante avventura a
Hollywood, Gino s’insedia in una casa a pelo del rettifilo fra Persiceto e Sant’Agata, fra muri sempre in agitazione
sismica al passaggio di ogni camion. La presenza da queste parti di
Pellegrini è un dono del caso che dà subito i suoi frutti.
Il primo travestimento della piazzetta conferisce al luogo il rango
architettonico e l’ eleganza che non ha mai avuto. Pennellata dopo
pennellata, verità e finzione giocano fra di loro, ci strizzano occhio,
ci invitano a far parte della scena con un guizzo della nostra fantasia.
I residenti sposano l’operazione, suggeriscono trovate e abbellimenti.
Intonaci cadenti vengono trasformati in pareti di nobili palazzi.
Compaiono dal nulla edere e glicini lussureggianti. Crepe vere sono
riscattate e confuse fra crepe di vernice, finti panni stesi offrono un
alibi decoroso a quelli autentici. Non siamo più in uno slargo
disadorno: quello che abbiamo intorno è una specie di atelier
cinematografico, come confermano anche le “citazioni hollywoodiane”.
Infatti qui si proiettano film del cinema comico americano, e nel
dopo-cinema ci si raccoglie intorno ai tavolini per gustare i piatti
dell’adiacente circolo Fratellanza Operaia: un altro nome carico di
storia, un club che nella parlata comune diventa “il Glub”, quasi un
gargarismo pronunciato proprio come si scrive. E l’ironia investe anche la lingua.
In piazza Betlemme va in scena il più grande carro allegorico che
Persiceto abbia mai avuto. Trascorrono gli anni. Il tempo e umidità
congenita di opere murarie non nate per sfidare il tempo, fanno sbiadire
il vestito fantastico confezionato da Gino Pellegrini. Il quale, fra il
1987 e 1992 crea il secondo travestimento della piazzetta. È il ciclo
pittorico ispirato alla poetica di Cesare Zavattini, che appare in
persona, emergendo da un paesaggio padano, col braccio appoggiato a un
ponteggio, la coppola verde, lo sguardo intenso, forse verso la mondina
Silvana Mangano, ritratta sul muro di fronte.
Falsi tubi innocenti inframezzano la parete, si immagina un cantiere che
ricostruirà dalle fondamenta le vecchie facciate intorno alla
piazzetta. Esordi di falsi muri crescono in basso, ma fra l’esile trama
dei ponteggi traspare una veduta di campagna in dissolvenza fino al
profilo azzurrino degli Appennini. Dentro poi ci sta di tutto: le
galline appollaiate sulle assi per aria, la cassetta del gas trasformata
in edicola della civiltà contadina, il Sant’Antonio circondato dagli
animali (immancabile arredo di tutte le stalle), i papaveri che entrano
ed escono dallo sportello del contatore dell’acqua, i canneti palustri a
ricordarci che queste erano veramente terre d’acqua, assai prima che
questa espressione diventasse una specie di toponimo amministrativo.
Piazza
Betlemme ormai si sfoglia come un libro: diverse iniziative editoriali
inseguono i suoi continui travestimenti. Nel 1983 esce “Il paese degli
inganni” con foto di Corrado Fanti e testi di Renzo Renzi. Nel 1992
arriva “Il ciclo pittorico di piazza Betlemme”, sotto la direzione di
Ermanno Cavazzoni e Luigi Ghirri, nella splendida e falsa veste dei
classici dell’arte Rizzoli. Segue nel 1998 “La piazza dei sogni
dipinti”, con presentazione di Giorgio Celli, foto di Guido Piacentini e
testi del sottoscritto. Quest’ultimo volume racconta il nuovo vestito
che Pellegrini ha creato l’anno prima per la piazzetta. Stavolta il
motto è “per i bambini di ogni età”.
L'asino che vola incontra l'unicorno
Ortaggi giganteschi incorniciano le porte, tralci enormi decorano le
pareti con fiori e foglie, nel cavo del vecchio tronco di un albero
occhieggia una bambino con la coppola verde; forse è lo stesso
Zavattini, che appare anche adulto, stavolta ritratto sulla porta della
stalla con un coniglio bianco sul braccio. Ma i protagonisti assoluti
sono gli animali: l’oca gigante, il gatto in osservazione, il cavallo
scalpitante dietro la staccionata, una coppia di passeri sull’altalena,
l’asino alato, il faraone dal piumaggio identico all’abito della signora
appeso alle mollette, il maiale che annusa estasiato la ghianda come
una tirata di coca, la civetta che veglia sul ramo nel controluce della
luna…
Gino Pellegrini: il maiale, la ghianda, il coniglio
L’ultima
versione, effettuata negli anni duemila, è quella che vediamo
attualmente, rinfrescata da un recente restauro conservativo. Pellegrini
elimina ponteggi e tralicci, squarcia i muri lasciando pochi lacerti
che sorreggono le finestre. Gran virtuosismo pittorico. Nessuna figura
umana. Qua e là cumuli di tegole e di mattoni, come dopo una gioiosa
catastrofe: gioiosa perché le pareti si aprono come sipari su cieli
azzurri, dove si affollano simboli nuovi e vecchi del repertorio di
piazza Betlemme, tra fiori, ortaggi e animali di varie dimensioni.
E così
è passato un terzo di secolo. Giusto 33 anni. Nuove generazioni apparse
sulla scena ammirano la piazzetta, ignare e incredule che quello che
vedono è ormai il terzo o quarto film.
“E i precedenti com’erano?” “E questa storia com’era cominciata?
Intanto siamo tutti un po’ invecchiati. Qualcuno di noi – tra quelli che
potrebbero raccontare l’intera storia – non c’è più. E soprattutto non
c’è più lui, Gino Pellegrini. Ma basta sedersi sulla panchina in piazza
Betlemme e guardarsi intorno: la sua faccia dalla scorza un po’ ruvida e
un po’ ironica sembra di indovinarla ad ogni fermata dell’occhio.
Maurizio Garuti
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