giovedì 23 luglio 2015

GINO PELLEGRINI A SAN GIOVANNI IN PERSICETO NEL RICORDO DEGLI AMICI E IN UNA MOSTRA DI LUCIANO BOVINA




… e così il  4 luglio in tanti si sono ritrovati in Piazza BetlemmeSan Giovanni in Persiceto per ricordare Gino Pellegrini, scenografo, artista raffinato, persona umile ed umanissima che dallo scorso dicembre inventa nuove prospettive in un’altra dimensione. 

Quello spazio in origine anonimo che lui, armato di rulli e pennellesse aveva più volte trasformato in una straordinaria opera d’arte da vivere nel quotidiano, è diventato la scenografia di GINO & FRIENDS, una serata condotta dagli amici di una vita, Patrizio Roversi e Susy Blady, Eros Drusiani, Luciano Manzalini, Ivano Marescotti, Tita Ruggeri e Vito, il magico Vito, surreale e stralunato protagonista di tanti suoi dipinti.


Piazza Betlemme: ingresso vegetale

Il ricordo di questo artista meraviglioso continua  fino al 31 luglio nella chiesa di Sant’Apollinare con la mostra fotografica GINO VISTO DA LUCIANO BOVINA (venerdì, sabato e domenica ore 19.00- 22.00), inaugurata in occasione della Gran Serata di Piazza Betlemme. E’ la storia per immagini di un’amicizia fraterna che Luciano ha raccontato seguendo Gino in molti momenti del suo gigantesco lavoro.




Luciano Bovina: ritratto di Gino Pellegrini

C’ero anch’io con loro a L’Avana nel gennaio del 2010 quando, nella cornice coloniale della Plaza Vieja,  ebbi la gioia ed il privilegio di realizzare insieme a Gino  “Entre tierra y cielo – Canto Pictórico a los Orishas”, una performance popolare vissuta in sintonia con danzatori e musicanti. Luciano, assemblando le proprie immagini e quelle di Ivan Dell’Igna, la sintetizzò in un video, ora proiettato in mostra.
Anche a Cuba Gino, giocò con colori e pennelli per  trasformare una delle piazze più belle dell’isola in uno spazio cinematografico. Fu solo per un giorno ma ancora se ne parla a La Habana Vieja dove, nel patio del Museo Casa de África, rimane l’ombra di un pavone solitario che il nostro prezioso amico dipinse in un pomeriggio di sole.

A Maurizio Garuti, autore del testo del catalogo della mostra, rubo, perché bellissimo ed illuminante, il racconto delle varie trasformazioni di Piazza Betlemme, dove Gino, in compagnia del suo bestiario fantastico, tra mattoni veri ed inventato, crediamo continui a vivere.


 Uno scorcio di Piazza Betlemme

Gino Pellegrini a Piazza Betlemme

 È una storia che dura da 33 anni. Tanti ne sono trascorsi da quel lontano 1982 quando Gino Pellegrini reinventò uno spazio urbano minore, un ritaglio rettangolare fra vecchie casette operaie. Molti ricordano com’era piazza Betlemme: tre o quattro abitazioni, un fienile, una sede stenta di partito, poco altro. Muri scrostati, qualche crepa, un’atmosfera dimessa. Non sembrava neanche una piazza, ma piuttosto uno slargo fra le case. Lontani i tempi in cui torme di bambini scorrazzanti avevano qui la loro via Paal. Gravitava qui intorno la banda di ragazzi più agguerrita di Persiceto, dato che le sue schiere erano alimentate da una prolificità quasi da terzo mondo. Non per nulla piazza Betlemme era il cuore del Tigrai: il rione più povero del paese, un nome etiopico probabilmente appioppato per scherno da chi stava in quartieri più benestanti, al tempo della guerra d’Africa. Un nome che evocava vagamente animali feroci come le tigri e paesaggi esotici, selvatici. Le premesse, nascoste, in germe, c’erano tutte per un carnevale pittorico capace di rovesciare in gloria le miserie sociali e storiche di cui erano testimoni quelle case. E qui comincia l’impresa di Gino Pellegrini.

Vicentino d’origine, tornato da poco da una mirabolante avventura a Hollywood, Gino s’insedia in una casa a pelo del rettifilo fra Persiceto e Sant’Agata, fra muri sempre in agitazione sismica al passaggio di ogni camion. La presenza da queste parti di Pellegrini è un dono del caso che dà subito i suoi frutti.
Il primo travestimento della piazzetta conferisce al luogo il rango architettonico e l’ eleganza che non ha mai avuto. Pennellata dopo pennellata, verità e finzione giocano fra di loro, ci strizzano occhio, ci invitano a far parte della scena con un guizzo della nostra fantasia. I residenti sposano l’operazione, suggeriscono trovate e abbellimenti. Intonaci cadenti vengono trasformati in pareti di nobili palazzi. Compaiono dal nulla edere e glicini lussureggianti. Crepe vere sono riscattate e confuse fra crepe di vernice, finti panni stesi offrono un alibi decoroso a quelli autentici. Non siamo più in uno slargo disadorno: quello che abbiamo intorno è una specie di atelier cinematografico, come confermano anche le “citazioni hollywoodiane”.
Infatti qui si proiettano film del cinema comico americano, e nel dopo-cinema ci si raccoglie intorno ai tavolini per gustare i piatti dell’adiacente circolo Fratellanza Operaia: un altro nome carico di storia, un club che nella parlata comune diventa “il Glub”, quasi un gargarismo pronunciato proprio come si scrive. 
E l’ironia investe anche la lingua.

In piazza Betlemme va in scena il più grande carro allegorico che Persiceto abbia mai avuto. Trascorrono gli anni. Il tempo e umidità congenita di opere murarie non nate per sfidare il tempo, fanno sbiadire il vestito fantastico confezionato da Gino Pellegrini. Il quale, fra il 1987 e 1992 crea il secondo travestimento della piazzetta. È il ciclo pittorico ispirato alla poetica di Cesare Zavattini, che appare in persona, emergendo da un paesaggio padano, col braccio appoggiato a un ponteggio, la coppola verde, lo sguardo intenso, forse verso la mondina Silvana Mangano, ritratta sul muro di fronte.
Falsi tubi innocenti inframezzano la parete, si immagina un cantiere che ricostruirà dalle fondamenta le vecchie facciate intorno alla piazzetta. Esordi di falsi muri crescono in basso, ma fra l’esile trama dei ponteggi traspare una veduta di campagna in dissolvenza fino al profilo azzurrino degli Appennini. Dentro poi ci sta di tutto: le galline appollaiate sulle assi per aria, la cassetta del gas trasformata in edicola della civiltà contadina, il Sant’Antonio circondato dagli animali (immancabile arredo di tutte le stalle), i papaveri che entrano ed escono dallo sportello del contatore dell’acqua, i canneti palustri a ricordarci che queste erano veramente terre d’acqua, assai prima che questa espressione diventasse una specie di toponimo amministrativo.

Piazza Betlemme ormai si sfoglia come un libro: diverse iniziative editoriali inseguono i suoi continui travestimenti. Nel 1983 esce “Il paese degli inganni” con foto di Corrado Fanti e testi di Renzo Renzi. Nel 1992 arriva “Il ciclo pittorico di piazza Betlemme”, sotto la direzione di Ermanno Cavazzoni e Luigi Ghirri, nella splendida e falsa veste dei classici dell’arte Rizzoli. Segue nel 1998 “La piazza dei sogni dipinti”, con presentazione di Giorgio Celli, foto di Guido Piacentini e testi del sottoscritto. Quest’ultimo volume racconta il nuovo vestito che Pellegrini ha creato l’anno prima per la piazzetta. Stavolta il motto è “per i bambini di ogni età”.


L'asino che vola incontra l'unicorno

Ortaggi giganteschi incorniciano le porte, tralci enormi decorano le pareti con fiori e foglie, nel cavo del vecchio tronco di un albero occhieggia una bambino con la coppola verde; forse è lo stesso Zavattini, che appare anche adulto, stavolta ritratto sulla porta della stalla con un coniglio bianco sul braccio. Ma i protagonisti assoluti sono gli animali: l’oca gigante, il gatto in osservazione, il cavallo scalpitante dietro la staccionata, una coppia di passeri sull’altalena, l’asino alato, il faraone dal piumaggio identico all’abito della signora appeso alle mollette, il maiale che annusa estasiato la ghianda come una tirata di coca, la civetta che veglia sul ramo nel controluce della luna…

 Gino Pellegrini: il maiale, la ghianda, il coniglio

L’ultima versione, effettuata negli anni duemila, è quella che vediamo attualmente, rinfrescata da un recente restauro conservativo. Pellegrini elimina ponteggi e tralicci, squarcia i muri lasciando pochi lacerti che sorreggono le finestre. Gran virtuosismo pittorico. Nessuna figura umana. Qua e là cumuli di tegole e di mattoni, come dopo una gioiosa catastrofe: gioiosa perché le pareti si aprono come sipari su cieli azzurri, dove si affollano simboli nuovi e vecchi del repertorio di piazza Betlemme, tra fiori, ortaggi e animali di varie dimensioni. 
E così è passato un terzo di secolo. Giusto 33 anni. Nuove generazioni apparse sulla scena ammirano la piazzetta, ignare e incredule che quello che vedono è ormai il terzo o quarto film.
“E i precedenti com’erano?” “E questa storia com’era cominciata?
Intanto siamo tutti un po’ invecchiati. Qualcuno di noi – tra quelli che potrebbero raccontare l’intera storia – non c’è più. E soprattutto non c’è più lui, Gino Pellegrini. Ma basta sedersi sulla panchina in piazza Betlemme e guardarsi intorno: la sua faccia dalla scorza un po’ ruvida e un po’ ironica sembra di indovinarla ad ogni fermata dell’occhio.

 Maurizio Garuti
.
.

Nessun commento:

Posta un commento