sabato 5 luglio 2014

IL TERZO OCCHIO DADAISTA




Il terzo occhio dadaista
china acquerello e collage su carta
cm 13,5 x 19,5
2002


Con il suo improbabile terzo occhio a forma di mandorla amara,
tanto bislacco da guardare 
non dal centro della fronte
ma dalla sommità del capo,
un terzo occhio  a foggia di vezzoso cappellino dadaista
offerto alla vista di chi sapeva capire, 
-e non erano in molti-
Marilina decise che, da quel giorno,
avrebbe letto e riletto tutti i suoi libri.
Da principio non fu impresa facile.
Il terzo occhio, mai chiamato in causa in tanti anni,
sembrava totalmente indifferente al nuovo compito 
di competenza degli altri due occhi,
sicchè Marilina si trovò a  districarsi,
e senza successo, in un groviglio impossibile di parole,
di congiuntivi sfuggenti, di futuri coniugati al passato.
La confusione nella sua mente regnava sovrana,
ogni regola era saltata, ogni logica cancellata.
Finché una sera, 
mentre ormai disperava di ottenere
il benché minimo risultato,
le parve di percepire una luce 
proveniente dalla regione più profonda del suo essere,
dapprima debole, poi sempre più intensa,
fino a diventare quasi abbacinante.
E non solo riuscì a leggere con chiarezza sconosciuta
ma ebbe la sensazione di entrare in ogni lettera del libro. 
Ogni parola divenne reale, tridimensionale.
Un albero non era più l' albero descritto
ma un albero vero di cui non solo scorgeva
rami e foglie ma la linfa che scorreva nel tronco.
Di un personaggio, anche il più insignificante,
coglieva pensieri non detti, stati d'animo segreti.
Di ogni casa focalizzava il minimo dettaglio,
un cucchiaino d'argento appoggiato ad una tazzina,
non descritto dall'autore, 
un pendolo che aveva smesso di scandire le ore,
un anello nuziale dimenticato nel cassetto del comò.
Tanta nitidezza allungò di molto i tempi di lettura.
I romanzi si dilatarono,
le filastrocche si allungavano a dismisura,
ma la gioia di Marilina era talmente sconfinata
da rendere insignificanti i disagi.
E la volta che un limone succoso uscì 
da un racconto di passione ambientato in Sicilia,
le parve un fatto assolutamente naturale.
"Fa così caldo- si disse-
e una spremuta mi farà bene". 
Il terzo occhio dadaista osservava dall'alto. 
Come un pesce capace di nuotare nell'aria,
 seguiva le correnti della percezione
 che portavano all'oceano infinito.


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