mercoledì 11 marzo 2015

ANEMONI DIPINTI PER LA "SIGNORINA" BIANCO









Anemoni su piatto di ceramica, 1965
 dipinti durante l'ora di Economia domestica.
Scuole Medie di Crescentino (Vercelli) 


Ci sono persone che più di altre appartengono all’anima collettiva di un paese e, quando se ne vanno, chi le ha conosciute sente allontanarsi una piccola parte di sé. Rita Bianco era una di queste. Insegnante di molti, amica di tutti.
Nonostante si fosse sposata ed avesse avuto un figlio, per me è sempre rimasta la signorina Bianco, come la chiamavo quando era la mia professoressa di Economia domestica alle Medie di Crescentino. Ho di quel periodo un ricordo tenero ed intenso, consapevole di quanto quell’andare a scuola con gioia abbia influenzato il  percorso della mia vita.
La mia classe, tutta femminile, era accompagnata e seguita da un gruppo di docenti coesi e straordinari. Si chiamavano Nella Gozzola, Piero Bosso, Bianca Villa. La prima, severissima ma ironica e divertente, ci insegnava  Lettere, Latino e  Storia, il secondo, artista a tutto tondo, ci contagiava con il suo immenso amore per l’Arte, la terza, bella come Grace Kelly, era la nostra elegante professoressa di Ginnastica. E poi c’era lei, la signorina Bianco, calma, rassicurante, discreta. Economia domestica l’avevamo al pomeriggio  ed erano ore rilassanti destinate ad apprendere sempre qualcosa di utile. 
Erano gli anni sessanta e, nonostante i miraggi del boom economico, la gente credeva fortemente alle regole del recupero, retaggio, oltre che della saggezza contadina,  dei tempi bui della guerra. Ci si pensava due volte, anzi tre, prima di buttare qualcosa, sicché le nostre famiglie erano felicissime che anche a scuola ci insegnassero ad attaccare un bottone, cucire un orlo, fare le presine con la lana d’avanzo.  La signorina Bianco, che al buon senso sapeva unire una grande creatività,  aveva il dono di rendere belle anche le cose più modeste. “Avete in casa un pezzo di tela?- chiedeva -Bene, ne facciamo un asciugamano o una tovaglietta per il tè. Tu lo finisci con un orlo a giorno, tu lo ricami a punto croce, tu a punto erba, tu a punto catenella…” Ecco fatto. Ognuna di noi, con poco o niente, grazie a lei, riusciva a fare qualcosa di originale. Ed anche gli sbagli venivano serenamente recuperati.   
Al mercato  o forse nello storico negozio di Pistochini, mia madre e la zia Lidia, avevano comprato della stoffa a quadretti: bianca e azzurra per me, bianca e rossa per mia cugina Ina (tre mesi di differenza tra noi, dunque stesse classi  dall’asilo alle medie). L’intenzione era di farne due vestagliette. La signorina Bianco ci spiegò come tagliarle sul cartamodello, poi come imbastirle, provarle, se era il caso riprenderle, finalmente cucirle. Eravamo esaltate, ci sentivamo già sarte provette e chiedemmo di poterle portare a casa per continuare il lavoro da sole. Ce lo concesse. Il giorno dopo, folgorate da irresistibile illuminazione, in assoluta sintonia, decidemmo di abolire "le pinces". Zac… zac… e due orrende voragini si aprirono proprio sul davanti, improponibili, irrecuperabili.
A scuola la signorina Bianco non fece una piega: “Pazienza- disse con la solita calma- le trasformiamo in grembiuli”. E furono gli stessi, con la pettorina,  che vedemmo girare in casa per anni.
Ci insegnò anche a tenere i conti della spesa – cosa impraticabile oggi – a montare la panna e a fare la torta margherita. Già… Margherita era il suo vero nome, in omaggio alla nonna, la mitica Garetin, una donnina sempre vestita di nero nel suo negozietto a metà tra la merceria e la cartoleria, ricavato in una vecchia casa, anche questa minuscola, affacciata su via Roma, là dove ora, mi pare,  si vendono fiori.  La Garetin era un’istituzione per i bambini delle elementari ed i ragazzi delle medie. Da lei si compravano, temperini, gomme, pennini – preziosissimi quelli dorati a forma di tour Eiffel – che avvolgeva con cura in sacchettini di carta minimali, perfettamente in linea con lo spirito del negozio. Credo che dalla nonna Garetin la signorina Bianco abbia appreso, senza troppa fatica, a praticare l’arte rara e preziosa della gentilezza.
Mi rendo conto di scrivere con nostalgia di un mondo scomparso, di una Crescentino che ormai si ritrova soltanto più nelle rare cartoline da collezione. Tutto passa ma i ricordi rimangono  come alimento basilare dell'esistenza. Chissà perché, ero convinta che in una delle foto di classe ci fosse anche la signorina Bianco. Non è così… significa che le assenze di persone speciali sono comunque percepite come  presenze che ci aiutano, anche nei momenti più difficili,  a guardare alla vita con occhi sereni. 
Ho però trovato – della serie, nulla si butta se ha un senso - un piatto di ceramica ormai sbrecciato su cui lei mi aveva insegnato a dipingere a terzo fuoco, avvicinandomi per prima ad una passione che ho poi sempre coltivato. E’ con l’immagine di quegli anemoni ingenui che voglio salutarla: fiori semplici che  sbocciano a primavera, simbolo della sua  commovente delicatezza.

Un abbraccio di grande affetto e grazie, grazie di cuore, cara signorina Bianco.

Mariella (come mi chiamava lei)

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