mercoledì 11 febbraio 2015

BREVE STORIA DELLA PORTA DELLA SOLITUDINE BLU


Porta della solitudine blu 
  olio di Maria Giulia Alemanno © 
1980 

Anche le vecchie porte hanno un destino.
 Questa del 1700 ha custodito per qualche anno, fedelmente, tutti i miei sogni. Apparteneva alla stanza bianca  di  una grande cascina nella quale ero solita rifugiarmi. Fresca d’estate e calda d’inverno, grazie ad una miracolosa stufa a legna liberty  di ceramica marrone che ricordava la casetta di Hansel e Gretel, piccola e panciuta, tutta adorna di fiori in rilievo. Lì ho coltivato idee e speranze, ho letto molti libri, dipinto, fantasticato, a tratti  sofferto.
 
E’ stato in uno di quei momenti di poca luce interiore che ho deciso di dipingerla di blu per incorniciare con un colore simbolico le due tavole centrali,  sintesi di pensieri e ricordi.
Seppur la ragazza alla finestra non possedesse  un solo tratto del mio viso, l’ho sempre vissuta come un fedele autoritratto. Io che guardo da dietro le inferiate  ciò che  accade  all’interno - in realtà il più delle volte non accadeva nulla ed il silenzio era troppo invadente  per ritenerlo una buona compagnia. Io al freddo, nella neve, accanto all'albicocco che in estate donava splendidi frutti mentre in inverno assumeva le sembianze di un vecchio intirizzito e privo di energia, contorto e nodoso come chi ha troppo penato e ormai troppo vissuto.
 
Nella tavola in basso avevo invece raccolto  in una cesta tutta la mia infanzia, un pinocchietto di legno, una palla a spicchi e soprattutto Natalina, la bambola che era stata  la mia miglior amica.
 Ritenuta un giocattolo ormai inutile  quando ero un poco cresciuta, era stata gettata un giorno , senza che io ne sapessi nulla,  tra le immondizie poco distante da casa. Lì l’avevo ritrovata un pomeriggio profumato di tiglio e di sambuco, un braccio di qua, una gamba di là, la testa rotta, il tronco di paglia ferito a morte.
Avevo pianto per ore accorgendomi per la prima volta di quanto la nostra sensibilità si possa scontrare con l’insensibilità o, semplicemente, con la superficialità degli altri. 
Perchè in fondo soffrire per una bambola? Non nasconde certo un’anima oltre i suoi  occhi azzurri, lucidi di vetro!
 
Il far rivivere Natalina sulla Porta della Solitudine Blu era stato dunque un atto di estrema  tenerezza  ed insieme,  un egoistico tentativo di recuperare, attraverso di lei, la mia parte più nascosta e lontana.
 Durò qualche tempo questa nuova intimità,  questo nuovo  gioco. Finchè un giorno   pensarono  di restaurare la casa e  non ebbero neppure bisogno di consultarsi per decidere che la porta blu fosse inadatta ad un nuovo stile e ad un nuovo decoro. Troppo malconcia, con troppi tarli e così poco elegante!
 
La sua fine fu presto decretata. Gli operai la scardinarono impietosamente  e la misero in un magazzino, appoggiata ad un vecchio pagliericcio, anch’esso ormai ritenuto privo d’utilità e di senso. 
Il resto non ha storia.
 So solo che lo sguardo della ragazza s’è fatto  più triste 
e Natalina è morta una seconda volta 
nel buio della dimenticanza.



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